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Rino

7 Giugno 2019 , Scritto da Costantino Delfo Con tag #costantino delfo, #racconto, #vignette e illustrazioni

Disegno di Costantino Delfo

Disegno di Costantino Delfo

 

Al mattino non c’era anima viva e il fiume scorreva lento.

Al mattino raramente qualcuno entrava nel negozio, e se vi entrava ne usciva dopo un po’ in tutta fretta, quasi a non farsi scorgere, e la strada tornava immobile sotto il tremolio dell’aria torrida. Rino non usciva mai dal suo negozio: si faceva vedere solo al tramonto quando la via si animava, e si piazzava all’angolo dove il fiume faceva una pozza.

Era una bestia enorme, tutta muscoli e quell’angolo di fiume era suo. Gli altri animali bevevano un poco più in là, ma sempre con l’occhio attento.

Bello era bello, Rino, con i capelli neri e ricci che gli scendevano sulle spalle. Gli occhi non si vedevano, perché li teneva sempre socchiusi. Aveva un gran nasone, una bocca sensuale e due metri di fisico prestante, che spesso faceva vedere sotto il gilet indossato aperto sul petto. La pelle degli avambracci si gonfiava ad ogni movimento dei suoi muscoli.

Al tramonto, quando scendeva al fiume, sbirciava con gli occhi socchiusi le gazzelle che gli stavano attorno, ma anche qualche giraffa che passava con passo sinuoso e gli lanciava languidi sguardi.

Al calar della sera iniziava il lavoro vero e Rino non si distraeva più di tanto, continuando a sbuffare fumo dal sigaro che gli pendeva dalle labbra. C’era la fila lungo il marciapiede e Rino intascava i soldi, faceva un cenno alla ragazza più vicina, la quale prendeva a braccetto il cliente e insieme entravano nel negozio. Al bancone si trovava il vecchio, un cinese col codino e il pizzetto, che nonostante l’età avanzata provvedeva alla consegna della chiave. La coppia saliva per la stretta scala, che portava ad un corridoio ai cui lati si aprivano le porte della felicità.

Un’ombra scura si stava avvicinando alla pozza del fiume, era Oran, lo vide avanzare goffamente sulle quattro zampe. Quando il corpo si alzò eretto sulle zampe posteriori, apparve enorme. Rino lo riconobbe, Oran non doveva stare lì: viveva lontano dal fiume, dove la vegetazione era più folta, e aveva sconfinato. Quel tratto di fiume non era il suo territorio. Abbassò il capo e, ne era sicuro, il suo corno avrebbe infilzato l’intruso mentre sbatteva impavido i pugni sul torace. Attaccò e fu una sforbiciata del corno aguzzo a procurare il taglio all’arto del malcapitato, che si rimise sulle quattro zampe e scappò.

Era un nero grande e grosso quello che s’era avvicinato alla ragazza. “Guai in vista” pensò Rino “quello è Oran ed è improbabile che non sappia che questa è la mia zona e nessuno può introdursi qui.” Si avvicinò, scostando la ragazza: «Che fai qui negro? Sei un po’ lontano da casa tua» esordì. «Vaffanculo, bianco di merda» rispose il nero: non era una risposta gradita, ma Rino non si scompose e come per magia fece apparire la lama del serramanico tra le mani. Oran fece un passo avanti e si beccò uno squarcio sul braccio. Gli bastò e scappò via a gambe levate.

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