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A come Andromeda

28 Maggio 2019 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #come eravamo, #televisione, #fantascienza

A come Andromeda è uno sceneggiato televisivo in cinque puntate diretto da Vittorio Cottafavi e trasmesso dal Programma Nazionale nel 1972.  Si basa su un romanzo di fantascienza scritto da John Elliot e Fred Hoyle nel 1962, trasposizione letteraria dell'omonima miniserie televisiva mandata in onda dalla BBC l'anno precedente.

Luigi Vannucchi, bello e pieno di umanità, Nicoletta Rizzi - che aveva preso il posto di Patty Pravo - inquietante e gelida, in bilico fra sentimento e freddezza aliena, Paola Pitagora, Giampiero Albertini, tutti attori bravissimi e in auge al tempo.

Sono gli anni d’oro della fantascienza, quelli di Arthur Clarke e 2001 Odissea nello spazio, e lo sceneggiato ci catturò tutti. Ricordo bene l’interesse di mio padre, proprio lui che mi ha insegnato a pormi domande di carattere filosofico, a pensare all’infinito e all’universo.

La fantascienza aveva ed ha il compito di farci riflettere sulle grandi questioni etiche, di spalancare interrogativi su di noi, sul futuro, sugli sviluppi impensabili del progresso. Nello sceneggiato di Cottafavi, in nuce già si parlava d’intelligenza artificiale, di clonazione, di bioetica. Lo si faceva coi mezzi dell’epoca, senza effetti speciali e in bianco e nero, ma la suggestione fu potente.

Chi non ama la fantascienza è perché vive col naso incollato alle scarpe, pensando alle correnti di partito e ai piccoli, effimeri, caduchi problemi del vivere quotidiano su questo limitato e minuscolo pianeta, senza farsi grandi domande. Chi siamo, dove andiamo, che cos’è la materia e che rapporto ha con lo spirito, da dove viene l’universo, esiste un dio?

Ultimamente ho visto due film, non particolarmente belli, ma che mi hanno dato da pensare: uno è Her di Spike Jonze (2013), sui possibili sviluppi del rapporto fra essere umano e  intelligenza artificiale. Un uomo s’innamora della sua assistente virtuale che, però, ha una mente talmente superiore da non potersi accontentare del contatto con un semplice umano. E qui apro una parentesi ragionando su quegli scienziati che hanno spento un computer che aveva iniziato a dialogare con un altro computer escludendo gli umani. Io non lo avrei mai fatto, costasse quel che costasse, la curiosità di sapere “come sarebbe andata a finire” è troppo forte in me, rischierei qualunque cosa per il bene della conoscenza, anche se lo spettro di Hal 9000 aleggia su tutti noi.

L’altro film, è Passengers di Morten Tyldum (2016), la storia di un uomo ibernato per un viaggio spaziale di durata centenaria che, risvegliatosi in anticipo per un guasto, e sentendosi troppo solo, decide di riportare in vita una compagna, condannandola a un’esistenza, sì, di amore con lui, ma anche di solitudine eterna su un’astronave. Pure questo suscita parecchi interrogativi su che cosa siano l’esistere, l’amore e il rapporto col mondo esterno, con la natura e con gli altri.

 

 

 

 

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