Stabat Mater

Lo Stabat mater, letteralmente “stava la madre”, è una preghiera in latino del XIII secolo, attribuita a Jacopone da Todi. Il ritmo è già quello del latino medievale e ne sono state fatte alcune versioni liturgiche e anche una in italiano dell’ottocento.
Addolorata, in pianto
la Madre sta presso la Croce
da cui pende il Figlio.
Immersa in angoscia mortale
geme nell’intimo del cuore
trafitto da spada.
Quanto grande è il dolore
della benedetta fra le donne,
Madre dell'Unigenito!
Piange la Madre pietosa
contemplando le piaghe
del divino suo Figlio.
Chi può trattenersi dal pianto
davanti alla Madre di Cristo
in tanto tormento?
Chi può non provare dolore
davanti alla Madre
che porta la morte del Figlio?
Per i peccati del popolo suo
ella vede Gesù nei tormenti
del duro supplizio.
Per noi ella vede morire
il dolce suo Figlio,
solo, nell'ultima ora.
O Madre, sorgente di amore,
fa' ch'io viva il tuo martirio,
fa' ch’io pianga le tue lacrime.
Fa' che arda il mio cuore
nell’amare il Cristo-Dio,
per essergli gradito.
Ti prego, Madre santa:
siano impresse nel mio cuore
le piaghe del tuo Figlio.
Uniscimi al tuo dolore
per il Figlio tuo divino
che per me ha voluto patire.
Con te lascia ch'io pianga
il Cristo crocifisso
finché avrò vita.
Restarti sempre vicino
piangendo sotto la croce:
questo desidero.
O Vergine santa tra le vergini,
non respingere la mia preghiera,
e accogli il mio pianto di figlio.
Fammi portare la morte di Cristo,
partecipare ai suoi patimenti,
adorare le sue piaghe sante.
Ferisci il mio cuore con le sue ferite,
stringimi alla sua croce,
inèbriami del suo sangue.
Nel suo ritorno glorioso
rimani, o Madre, al mio fianco,
salvami dall’eterno abbandono.
O Cristo, nell'ora del mio passaggio
fa' che, per mano a tua Madre,
io giunga alla mèta gloriosa.
Quando la morte dissolve il mio corpo
aprimi, Signore, le porte del cielo,
accoglimi nel tuo regno di gloria.
Amen.
Lo Stabat Mater è anche una melodia gregoriana. Fu abrogata dal Concilio di Trento e poi reintrodotta nella liturgia nel 1727 da papa Benedetto XIII.
Ha ispirato oltre quattrocento compositori. Le versioni più famose sono quelle di Scarlatti, Vivaldi, Verdi, Rossini, Haydn, Salieri, Boccherini ma, soprattutto, di Pergolesi.
Colgo l'occasione per ricordavi il mio personale Stabat, nel capitolo 18 de L'uomo del sorriso.
The Stabat mater, literally "stood the mother", is a Latin prayer of the thirteenth century, attributed to Jacopone da Todi. The rhythm is already that of medieval Latin and some liturgical versions have been made and also one in Italian of the nineteenth century.
Stabat Mater is also a Gregorian melody. It was repealed by the Council of Trent and then reintroduced into the liturgy in 1727 by Pope Benedict XIII.
It has inspired over four hundred composers. The most famous versions are those of Scarlatti, Vivaldi, Verdi, Rossini, Haydn, Salieri, Boccherini but, above all, of Pergolesi.
I take this opportunity to remind you of my personal Stabat, in chapter 18 of The Man of the Smile.
«Jeshu… Jeshu…»
Chiamava suo figlio appeso sulla croce, Maria di Nazareth, col dolce nome dell’infanzia. «Jeshu…» Poterlo strappare da lassù, stringerlo ancora fra le braccia come quando era bambino, riscaldarlo, asciugargli le lacrime di sangue che gli rigavano il volto. La sua mente di madre vacillava, aveva un macigno da sollevare a ogni respiro doloroso quanto i respiri del figlio. Temeva di vederlo morire e, insieme, lo desiderava come non aveva mai desiderato altro in tutta la sua vita.
Si era levato vento, la pelle di suo figlio, tormentato dalla febbre, s’increspava di brividi. Yeshua’ fece uno sforzo per sollevarsi, per respirare, ma il movimento gli strappò un lamento.
“Muori, figlio mio, ti prego, non lottare”.
I singhiozzi l’avevano squassata fino a sfinirla, ora non aveva più lacrime, solo un orrore fondo e nero che la invadeva da capo a piedi. Ogni pezzo di lei era lassù, insieme al figlio sulla croce; soffriva con lui, agonizzava con lui.
Yeshua’ emise un gemito, la testa gli ciondolò sul petto, perse conoscenza e questo fu un conforto per la madre. Mentre pregava Dio che facesse morire in fretta il suo ragazzo, si abbandonò ai ricordi, consapevole che, da quel momento in poi, sarebbero stati l’unica cosa che avrebbe avuto di lui.
Il vento del deserto era lo stesso quando Yeshua’ era nato, come se un cerchio si stesse chiudendo. Ricordava le pareti pietrose della grotta, il pavimento macchiato di sangue, Yosef che, con le ginocchia, premeva sul suo ventre per aiutarla a spingere. Ricordava l’odore di stalla, il fiato caldo del bue, la mangiatoia nella quale aveva adagiato il bambino, maledicendo l’ostessa che non li aveva accolti. Ricordava il calore delle braccia di Yosef, ansimante e sudato, che stringevano lei e il piccolo appena nato. «Ora siamo una famiglia, Maria» le aveva detto. «Sei stata brava».
Più di ogni altra cosa, ricordava il primo istante in cui aveva stretto a sé il bambino. Il corpicino si era adattato subito all’incavo delle sue braccia, Yeshua’ si era acciambellato contro di lei come fosse ancora nel suo grembo, le piccole labbra avevano cercato il capezzolo. Lei aveva tastato con le mani ogni parte del piccolo corpo, aveva posato la guancia sul ventre per sentirne il calore, aveva annusato l’odore per imprimerselo dentro, riconoscendolo poi per sempre, sentendo che quella era la perfezione, che lei era venuta al mondo per dare la vita a lui. Dopo, niente era più stato come in quell’istante. Solo distacco, lontananza, freddezza.
Oggi, ai piedi della croce, l’amore che provava per suo figlio era così grande che non bastava un cuore solo a contenerlo. E il suo cuore di madre ora stava esplodendo, pompava sangue all’unisono col cuore del figlio, accompagnandolo, respiro dopo respiro, fino all’ultimo soffio di vita. (Da L'uomo del sorriso di Patrizia Poli pagina 222)