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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

I delfini

15 Dicembre 2018 , Scritto da Laura Nuti Con tag #laura nuti, #sezione primavera, #miti e leggende

 

 

 

 

Quando la madre di Narciso conobbe la triste sorte del figlio, si ricordò delle parole di Tiresia e capì che nascondevano una grande verità; allora, a tutti quelli che vennero per consolarla, parlò della misteriosa profezia e dello straordinario indovino.

Così Tiresia divenne famoso e molti andavano da lui per consultarlo e chiedere consigli.

Era vecchio e cieco, ma proprio per questo possedeva una grande sapienza: sapeva leggere il significato dei sogni, comprendeva il linguaggio degli uccelli e conosceva il futuro. Lo stormire delle foglie, il mormorio dei ruscelli, il sibilo del vento, tutta la natura parlava a Tiresia e gli mostrava segreti straordinari e invisibili agli altri.

Tiresia non si faceva ingannare dalle apparenze e guardava dritto nel cuore degli uomini: spesso vedeva orgoglio, violenza, sete di denaro e di potere...  Allora il vecchio saggio raccomandava di tenere a freno quelle passioni:

 

- Solo chi ama e rispetta i suoi simili, onora e venera anche gli dèi! - ammoniva con fare severo.

 

Gli dèi erano molto potenti: aiutavano e proteggevano tutti gli uomini, ma punivano senza pietà quelli che non avevano rispetto per i propri simili e si approfittavano della debolezza degli altri. Bacco, il dio della vite e dell'uva, si dimostrava particolarmente inflessibile.

Bacco era proprio come il vino: sapeva dare allegria e calore, ma poteva anche sconvolgere la mente e condurre alla rovina.

 

- Siate onesti e generosi, per rispetto a questo dio! Non provocate mai la sua ira! - raccomandava Tiresia a chi era avido di ricchezze e di potere.

 

A volte, per dare più forza alle sue parole, raccontava la storia di Acete e dei marinai trasformati in delfini.

«Acete era un uomo molto povero e per vivere faceva il pescatore. Quel mestiere era tutta la sua ricchezza. Anche il padre era stato pescatore e prima di morire gli aveva detto, indicandogli l’immensa distesa azzurra:

 

- Qui ho trascorso tutta la mia esistenza: dal mare ho avuto serenità e pace … Ora tu prenderai il mio posto; non permettere mai che in un luogo tanto bello vengano commesse ingiustizie e malvagità! -

 

Acete era molto intelligente e amava l’avventura; così abbandonò il mestiere di pescatore e divenne marinaio. Imparò a manovrare il timone delle navi e a riconoscere le costellazioni, studiò i venti e i porti dove le navi possono attraccare con facilità; col tempo, grazie al suo coraggio e alla sua abilità, divenne nostromo.

Un giorno, per caso, mentre navigava alla volta di Delo, approdò alla spiaggia di Chio e si fermò a dormire sulla sabbia fresca. Al mattino, quando l’aurora cominciava appena a rosseggiare, si alzò e disse ai suoi compagni di andare a rifornirsi di acqua per il viaggio.

Acete stava scrutando l’orizzonte, quando i marinai tornarono.

 

- Guarda cosa abbiamo preso! - gridò uno di loro.

 

Trascinavano lungo la spiaggia un fanciullo dal viso gentile e delicato: barcollava e sembrava stordito dal sonno e dalla fatica.

 

- L’abbiamo trovato in mezzo a un campo. Dormiva, sembrava ubriaco. Ha i sandali consumati, come se avesse camminato per ore e ore. Guarda le sue vesti preziose, il suo aspetto nobile: è sicuramente figlio di qualche re! Portiamolo con noi: potremo venderlo al mercato degli schiavi e fare un ricco guadagno …

 

Acete guarda il fanciullo: i suoi occhi, velati di stanchezza, sono verdi come i pampini dell’uva e brillano di una luce intensa e misteriosa. Il nostromo sente un brivido corrergli lungo la schiena e uno strano timore lo invade:

-      No, compagni - risponde con voce tremante – questo fanciullo non è come noi, non è un comune mortale ... Osservatelo bene ...  Sento che è cosi: lasciamolo andare, o sarà la nostra rovina!

Quindi, rivolto al prigioniero, si inginocchia ai suoi piedi e lo supplica:

-      Abbi pietà ... Perdonaci e assistici nel nostro lavoro, chiunque tu sia!  -

-      Se preghi per noi, perdi il tuo tempo: non ci faremo sfuggire questa occasione! -  gridano i marinai.

Così dicendo, afferrano il fanciullo e lo trascinano verso la stiva.

Allora Acete si piazza sulla passerella che conduce dentro la nave e cerca di chiudere l’entrata: un pugno lo raggiunge in pieno volto e lo fa cadere a terra, privo di sensi!

Il prigioniero, in quel momento, si scuote dal suo torpore e chiede:

-  Dove sono, marinai? Dove volete portarmi? C’era una festa in onore di Bacco ... Tutta la città brillava, illuminata da mille fiaccole; in cielo, solo la falce curva e sottile della luna nascente; al dio piace quella luna ... La gente beveva vino e cantava per le strade ... Ho bevuto e danzato anch'io per tutta la notte, poi mi sono perduto nella campagna: non sono di Chio e non conosco bene quei luoghi ... Vi prego, abbiate pietà di me! Aiutatemi a tornare nella mia terra! –

-   Non avere paura - risponde uno dei compagni di Acete - Indicaci dove vuoi andare e noi ti condurremo là! –

-   La mia patria è Nasso - dice il fanciullo - Portatemi a casa e non ve ne pentirete -

I marinai allora giurano per Nettuno e per tutti gli altri dèi che faranno ciò che lui chiede; poi soccorrono Acete e gli ordinano di sciogliere le vele e di riprendere il mare.

Il nostromo non pensa più alla violenza subita. È felice: il fanciullo misterioso è salvo! Gli dèi hanno toccato il cuore dei marinai e nessuna rovina si abbatterà su di loro o sulla nave ...

Nasso è a destra, e Acete mette le vele per andare in quella direzione.

-  Sciocco, che fai! - gli sussurrano i compagni - Non penserai di dargli retta sul serio: abbiamo promesso solo per tenerlo buono! -

Acete capisce che ogni speranza è perduta.

-    Siete pazzi! - grida - Io non voglio guidare questa nave maledetta! -

Allora i marinai si mettono a inveire contro di lui, lo cacciano dalle vele e un altro prende il suo posto.

Il nostromo si nasconde dietro un mucchio di corde, vicino al prigioniero: deve proteggere quel fanciullo! O forse, senza saperlo, cerca protezione da lui …

Il caldo è cocente e il sole brucia le placide onde. Nasso si allontana sempre di più mentre la nave punta in un’altra direzione. Il prigioniero è silenzioso e guarda il mare ...

«Forse piange!» pensa Acete, e lo fissa attentamente.

No, non piange: nei suoi occhi la stanchezza è scomparsa e ora vi brilla una fiamma verde, luminosa e sinistra … Sta per accadere qualcosa di terribile?

Ed ecco, il fanciullo si rivolge ai suoi rapitori e dice:

-   Questa non è la terra dove vi avevo chiesto di andare! Perché, voi così grandi e forti, vi prendete gioco di me che sono debole? Perché vi divertite a ingannare chi non può difendersi? -

I marinai ridono a quelle parole, ma presto il riso si gelerà nelle loro gole ...

Improvvisamente la nave si ferma in mezzo al mare, come se fosse approdata a una spiaggia! I marinai, stupiti, si curvano sui remi, ma invano ...

Ed ecco, tralci di vite avvolgono la chiglia, si insinuano dovunque e addobbano le vele e i remi con le loro grandi foglie. Ora una luce accecante avvolge il prigioniero: non è più un fanciullo impaurito, ma un dio terribile! Ha la fronte cinta di grappoli d’uva e un rosso mantello gli copre le spalle; agita un bastone ornato di pampini e ai suoi piedi stanno accucciate tigri, lirici e feroci leopardi ... Guarda i marinai con occhi di fiamma: essi finalmente comprendono, e tremano dal terrore.

-  Ecco chi avete ingannato e insultato, scellerati: me, Bacco, figlio di Giove! -tuona il dio con voce piena d’ira - Voi non avete avuto pietà della mia debolezza e io non ne avrò della vostra! Coloro che mi venerano si ubriacano di vino e danzano senza posa nelle strade e nei campi; voi, che siete ubriachi di orgoglio e avete sete di denaro e ricchezze, danzerete in eterno in mezzo all’acqua, per le vie del mare … -

La paura sconvolge i marinai, che invano cercano scampo. Uno vuol lanciarsi fra le onde, ma il suo corpo comincia a diventare scuro e a incurvarsi; un altro si volta a guardare il compagno e intanto il viso si allarga, le narici si appiattiscono, la pelle è dura e coriacea. Qualcuno, mentre cerca di muovere i remi bloccati, vede le proprie mani contrarsi e guizzare indietro: ormai sono pinne! Altri vorrebbero allungare verso le funi, braccia che non hanno più...

Quando si slanciano in acqua con uno scatto, all’estremità del loro lungo corpo, spunta una coda a forma di falce, curva e sottile come la luna nascente.

I marinai non sono più uomini ma delfini, pesci d’argento che si tuffano levando al cielo alti spruzzi, poi riemergono e tornano sott’acqua, come se danzassero, ubriachi, al ritmo di una eterna musica ...

 

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