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L'ultima lettera

11 Maggio 2018 , Scritto da Lorenzo Barbieri Con tag #lorenzo barbieri, #racconto

                            

 

 

 

Ciao, ragazzo mio

 

Lo so tu e la mamma state attraversando un momento di sbandamento e di difficoltà, in questo periodo di annientamento della ragione. La mia assenza si sta prolungando oltre il previsto e di questo sono dispiaciuto, non sai quanto vorrei tornare presto da voi per affrontare insieme questo destino avverso. Mi chiedo se siete rimasti nella casa in città o siete andati dai nonni in campagna, io vi avrei portato là, almeno da quelle parti c’è una calma relativa ed è più facile sopravvivere. Ti ricordi, figliolo, quando ci andavamo la domenica? La nonna ci preparava sempre la pasta  fresca e le verdure dell’orto riempivano gli occhi e la pancia. Immagino che, a parte qualche ristrettezza, non deve essere cambiato molto a casa loro, in città, immagino, invece, i problemi sono enormi. Dove mi trovo io, non è poi tanto male, siamo in tanti, forse troppi, ammassati nello stesso spazio, l’igiene è scarsa, non possiamo lavarci molto, ma nonostante tutto non soffriamo di malattie, credo che sia proprio lo sporco che ci protegge, abbiamo tutti una patina di sudiciume addosso che ci preserva da tante malattie, se si muore non è per questo motivo. L’abbigliamento è uguale per tutti; un bel pigiama a righe che era stretto quando  lo hanno distribuito, ma che adesso va largo a tutti. Non parliamo di me, io tiro avanti sorretto dalla speranza di rivedervi. Le notizie qui sono scarse e non sappiamo gli sviluppi degli eventi. Ti ho lasciato solo un anno fa, mi ricordo che eri un ragazzino vivace, sveglio e capace di capire al volo gli eventi nefasti che stavano per investirci. Ora dovresti essere cresciuto e non solo in età, ma anche più maturo, nella mente e nel comportamento. La vita ti ha costretto a crescere troppo in fretta, adesso sei tu il responsabile della famiglia in mia assenza, bada a tua madre, so che lei è forte, ma è sempre una donna e, alla lunga, potrebbe cedere, tocca a te sorreggerla e rincuorarla, che non si dia pena per me, io tengo duro, non sono solo, con me ci sono molti amici, ho trovato anche dei paesani, siamo uniti e, come sai, l’unione fa la forza. Ben presto tutto questo finirà, dovrà pur avere una fine.  Allora ci rivedremo, sono sicuro che al mio ritorno non troverò più un bambino ma un uomo, e sarò fiero di te.

Devi dire alla mamma che qui il cibo non è abbondante, ma è sufficiente per tenerci in forze. C'impegnano in lavori di scavo. Lei sa che a questa attività sono abituato, ho sempre fatto questo nella mia vita da contadino, ho scavato buche per alberi, ho zappato per togliere le pietre che impedivano la coltivazione, ho scavato per creare canali d’irrigazione e ho scavato fosse per seppellire i miei cari, adesso scavare buche nei cortili non mi dà nessun problema. Quello che manca è un po' di libertà in più, ma del resto non si può chiedere troppo, sai che  i militari sono obbligati ad obbedire agli ordini dei superiori ed io sono sempre stato uno ligio al proprio dovere. Noi povera gente siamo nati per obbedire, poco importa chi comanda, per noi non cambia nulla.

Figlio mio, la lontananza è l’unica cosa che mi fa star male, passi la mancanza di libertà, il cibo, il filo spinato, la rete metallica che circonda il campo e tutto il resto, quello che mi addolora maggiormente è sapervi lontani e in balia d'eventi più grossi di voi. Non possiamo ricevere posta, altrimenti avrei voluto sapere di voi, tutti i giorni, avrei ricevuto nuova forza dalle vostre parole, per andare avanti.  Niente e nessuno avrebbe fermato la volontà di sopravvivere a tutto questo. Questi che ci tengono qui, in questo recinto come polli in un pollaio, sanno cosa fa male all’uomo, non la fatica, non le sevizie, non la paura, ma la mancanza di notizie dei propri cari. Questa privazione influisce sullo stato d’animo, così hanno buon gioco sulla volontà, l’uomo è capace di resistere a tutte le angherie possibili, ma non alla lontananza degli affetti familiari. Io cerco di rimanere sereno, affidando alla carta i miei pensieri, anche se penso che questi non arriveranno mai nelle tue mani. Vorrei essere capace di collegarmi con te telepaticamente, per farti sapere di me e per conoscere le vostre pene. 

Nei quartieri, dove siamo alloggiati, le persone vanno e vengono, c’è un continuo alternarsi di uomini, vengono ogni giorno dei nuovi e vanno via dei vecchi, non si riesce a fare amicizia per più di due tre giorni che già vanno via. Per non creare disagio a chi va fuori, prima di farli uscire li portano a lavare, perché la puzza che abbiamo addosso si sente anche da lontano. Li vedo, quando si avviano verso le docce, una costruzione robusta di mattoni, un vero lusso in questa fetta di terra deserta dove, a occhio, l’orizzonte non offre che cielo e una lunga distesa d'erba. Dopo le docce non tornano certo indietro per sporcarsi di nuovo,  penso li facciano uscire dall’altra parte, perché quelli che entrano non si vedono più. Sono davvero fortunati quelli destinati alle docce che rispondono all’appello la mattina. Io non sono stato chiamato ancora, chissà, quando sarà il mio turno, spero presto anche perché la puzza mi si è attaccata addosso e comincia a darmi molto fastidio.

Caro ragazzo, se mai un giorno dovessi leggere questa lettera, ricorda che solo l’amore per te e per la mamma mi ha tenuto in vita, non sono un eroe che non ha paura di nulla, sono soltanto un uomo che si è trovato, suo malgrado, invischiato in qualcosa e che anche adesso, dopo anni, ancora non ha capito nulla. Sono un uomo che è stato strappato all’amore della sua donna e all’affetto del figlio, in nome di un’assurda concezione di potere da esercitare su interi popoli. Sono sicuro che, quando tutto sarà finito, si ritornerà a come stavamo prima, come se niente fosse accaduto. Si ricorderanno i giorni tristi che stiamo vivendo e le vittime di questa follia, e allora dovranno essere gli stessi popoli, a unirsi e promettere reciprocamente di non ricadere nello stesso errore.  

Abbi cura di te figlio mio e non lasciarti prendere da pensieri di vendetta o di rivalsa, lascia andare chi grida e incita a prese di posizione. Come sempre succede, l’acqua del fiume scorrerà eterna, anche quando incontrerà ostacoli sul suo cammino, troverà sempre il modo di passare e continuare la sua corsa verso la libertà del mare infinito. Addio e possa, chi ha il potere di farlo, benedire il tuo cammino e salvaguardare la tua vita. Tuo padre  Francesco che ti ama tanto.

 

Dachau 22 Aprile  1943 

    

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