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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

Il "Salvini"

16 Febbraio 2018 , Scritto da Pee Gee Daniel Con tag #pee gee daniel, #racconto

 

 

 

 

 

 

Era il più cazzone di tutti.

Dentro la ghenga era quello che valeva poco meno di un cazzo di niente.

Per quanto si vantasse che la sua scuola era sempre stata il marciapiede si capiva a colpo d’occhio che era una mammoletta. E per quanto lui ci si incistasse a dare un’impressione tutta diversa, acchittandosi e atteggiandosi da splendido, questo non faceva che caricarlo ancor più di un’aria ridicola, tipica di quello che vuole ma non può. Non ce n’era uno, tra di noi, che sarebbe mai ricorso a lui, se avesse avuto bisogno di una mano per sbrigare uno dei nostri soliti affarucci, perché da una lenza come quella non ti potevi aspettare altro che ti mollasse quattro a zero proprio sul più bello, quando magari tu stavi lì lì per chiudere la rapa e si sentivano le sirene della madama in avvicinamento o quando svaligiavi la cassa automatica e usciva fuori la guardia col ferro in mano, se ti aspettavi che quello lì ti venisse in aiuto stavi fresco. Per quello non lo facevamo mai partecipare, per quanto ce lo supplicasse tutti i giorni, facendo il ganassa coi resoconti dei suoi colpi fantomatici che ci propinava giusto per darci a bere che pure lui l’è un bel filone.

Si vedeva che ci pativa che noi avevamo sempre da contarne una, sul portavalori buttato giù con un uppercut dato bene o sulla fuga dai ghisa in sella al cinquantino sfiatato e lui ciccia.

Allora un bel giorno, tanto per far vedere di che stoffa era fatto, attaccò a far la teppa lui pure.

Solo che, messo com’era, per vincerla facile lui se la prendeva coi poveracci che trovava in giro, giusto per darsi un tono.

Per fare un esempio, se vedeva dei barboni a dormire tra i cartoni in un freddo siberiano, lui passava di lì e ci tirava le molotov: «Almeno vi scaldate!» gli sghignazzava dietro prima di sgommare via.

Quando vedeva un immigrato non perdeva occasione per prenderlo a sprangate o tirargli pietre e sampietrini, gridandogli: «Tornatene in Africa, brutta scimmia!» Questo però solo con quelli piccinini. Se per caso incontrava per strada un cristone nigeriano largo e lungo come un armadio era difficile che gli venisse voglia di offenderlo. Il più delle volte allora abbassava lo sguardo e tirava dritto.

E se trovava una zingarella pidocchiosa lì a stendere la mano per alzare un paio di euro di elemosina davanti a una chiesa gli veniva automatico ficcare un calcione al piattino delle offerte che lo mandava in orbita col pianto dirotto della poverella come sottofondo, subito prima di raccogliere le monetine, ficcarsele in tasca e sparire con un dito medio alzato esibito in faccia alla giovane rom.

Non che tutto questo migliorasse di una virgola il nostro giudizio su di lui, anzi, non facevamo che ignorarlo ancora peggio di prima: fare il forte con i più deboli lo rendeva ai nostri occhi come il nulla mischiato al niente.

Eppure lui andava avanti così. Se non se la prendeva con qualche tapino stava mica bene.

Ora spero si sarà capito perché nel giro quando parlavamo di lui lo chiamavamo… il “Salvini”.

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