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LA STRADA di Cormac McCarthy

7 Maggio 2017 , Scritto da Valentino Appoloni Con tag #valentino appoloni, #recensioni, #fantascienza

 

 

Lo scrittore Cormac McCarthy ci offre un intenso e direi attuale romanzo.

All'indomani di una distruzione immane (forse nucleare), il mondo è ridotto a pura desolazione; i sopravvissuti si aggirano impauriti e affamati, pronti a uccidersi e anche a mangiarsi.

Padre e figlio, protagonisti del libro, si muovono a piedi verso Sud, verso l'oceano; cercano cibo, un clima più decente, una via di fuga dai tanti pericoli. Intorno ci sono le macerie di città vuote, supermercati saccheggiati, auto piene di cadaveri. Un'aria fredda e piena di cenere opprime i pochi vivi.

Il senso di angoscia è accentuato dall'assenza di nomi; le città e le persone sembrano non averli più. Ora c'è solo un grande nulla, un vuoto di senso, un indistinto squallore in cui nemmeno i due protagonisti hanno un nome. Per il poeta Rilke l'uomo è superiore a ogni specie perché ha la parola e può nominare le cose dando sostanza e stabilità al mondo. Ora tutto invece è precario, l'uomo innanzitutto. Viaggiano tra mille peripezie, a piedi come viandanti di epoche lontane, in una modernità di cui restano solo le ormai inutili strutture materiali che cingono un degrado totale, come enormi carcasse di metallo e cemento.

È un libro denso di immagini cupe e di sogni atroci; non esistono autorità, si è all'homo homini lupus; le peggiori visioni degli antichi profeti trovano conferma nell'Apocalisse che i sopravvissuti subiscono. Eppure vanno avanti, spingendo un​ carrello di supermercato con qualche coperta e un po' di cibo; se troveranno altri "buoni" come loro forse ci sarà ancora un futuro. Per ora si è al capezzale dell'umanità. Noi siamo i buoni, noi portiamo il fuoco, ripete il ragazzino cercando l'assenso del padre, in una involontaria allusione al mito di Prometeo che portò civiltà e tecnica tra gli uomini. Sono loro due la riserva etica di un mondo senza luce, precipitato in una specie di età della pietra dove chi ha un accendino o una pistola può sopravvivere più di altri. Ma servono anche speranza e solidarietà tra gli uomini, per andare oltre un individualismo infecondo. La vicenda scorre su binari tristi, ma forse resta qualche residua possibilità di salvezza dato che c'è ancora un bambino che si fa raccontare le favole dal genitore e crede che si possa uscire dalla desolazione. La distruzione dei luoghi potrebbe non aver annientato i cuori di tutti. Cercando altre persone perbene, come vorrebbe fare il bambino e recuperando il senso della comunità, qualcosa potrà risorgere. Resta il pensiero che l'individualismo selvaggio del mondo descritto nel libro abbia qualche legame con l'individualismo diffuso nei tempi moderni, nei quali il consumismo costante è la colonna sonora del vivere. Non a caso gli affamati e sofferenti protagonisti del libro spingono un carrello di supermercato, residuo rumoroso dell'epoca dello spendere incontrollato. Peraltro il romanzo​ è incentrato principalmente sul rapporto padre-figlio e sul bisogno di sopravvivere, lasciando sullo sfondo l'approfondimento delle cause della catastrofe in cui sono precipitati.

La parte finale del romanzo lascia comunque trasparire qualche lieve segno di luce, anche se l'aria fredda e sporca efficacemente descritta in tante pagine non induce all'ottimismo.

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