Aldo Dalla Vecchia, "Piccola mappa della nostalgia"
29 Settembre 2016 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni
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Piccola mappa della nostalgia
Aldo Dalla Vecchia
Pegasus Edition, 2016
pp 114
12,00
Aldo Dalla Vecchia ci ha abituato al suo stile garbato, alla gentilezza nell’esporre, alla messa a nudo, in modo pudico, di sentimenti romantici e delicati. Con piccola mappa della nostalgia torna alle atmosfere del suo primo libro, Rosa malcontenta, senza velleità romanzesche ma con l’intento di raccontarsi e raccontare un’epoca ormai rintracciabile solo nella memoria.
L’ambiente è la provincia veneta degli anni settanta, il protagonista Aldo bambino, la struttura una serie di piccoli bozzetti, di flash minimali e gozzaniani, come afferma Francesco Lena nella prefazione, nei quali viene rievocato di volta in volta un ricordo, un’icona personalissima ma insieme universale, da Sandokan alla vanillina Paneangeli, dalla spuma ai quiz di Mike Bongiorno, dalle caramelle Rossana alle canzoni di Venditti. Una traccia da seguire, un mosaico, una mappa, appunto, da integrare a piacimento, cui aggiungere, di volta in volta, i nostri personali tasselli di nostalgia.
La nostalgia di Aldo non è straziante come quella di Gordiano Lupi, è, semmai, zuccherina e paga, poiché non si contrappone al presente, bensì lo ingloba, lo preannuncia. Piccoli sapori, odori come quello acre dell’acetone che mi ha ricordato l’ultimo libro di Sergio Costanzo. Anche qui c’è una sensualità timida ma potente, fatta di turbamenti segreti, di scoperte, di emozioni che si provano ma non si possono dire. Viene in mente anche Di giorno in giorno di Ada Negri, con quelle annotazioni istantanee e crepuscolari, o magari pure Pascoli, con la cavalla storna che portava colui che non ritorna, per Aldo una carezza fugace ad uno zaino che nessuno più indosserà. Roba da poco, si potrebbe pensare, meri appunti personali, e invece Aldo Dalla Vecchia è un autore che ha fascino, che riesce a colpirci al cuore pur nell’estrema semplicità e sottigliezza delle immagini da lui evocate: buone cose di pessimo gusto come i cartelloni con la faccia di Moira Orfei.
La figura che emerge è quella di un bambino sensibile e romantico alle prese con i terrori e le rivelarioni, i disgusti e le passioni dell’infanzia ma con un’identità sessuale tutta da scoprire, difficile da accettare e far accettare. Una fanciullezza tenera, terribile e meravigliosa, funestata dalla precoce perdita del padre in un incidente di montagna ma confortata dall’amore di una famiglia protettiva ed avvolgente. Eventi come la morte, enormi, incommensurabili, sono tratteggiati con una reticenza che dice tutto, con un’alternanza magistrale di parole e silenzi.
Il testo è scritto usando la seconda persona, Aldo parla a se stesso ma anche a tutti noi, tu siamo noi, siete voi, è chiunque possa capire perché c’era - ed io c’ero, anche se con sette anni di più.
Un piccolo libro pieno di accadimenti minuscoli e giganteschi, che si divora in una notte, che non puoi posare. Ti comunica qualcosa che neppure capisci bene cos’è ma ha il gusto dolceamaro del ricordo e il soffio tiepido della poesia.
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