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Caro aspirante scrittore

4 Febbraio 2016 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #case editrici

Caro aspirante scrittore

Caro aspirante scrittore...

... ciò che fai - cioè scrivere - è un tuo bisogno insopprimibile; ti viene naturale, perché leggi ferocemente da quando hai imparato a sillabare.

Ormai hai affinato lo stile e appreso tutte le tecniche. Forse sei persino bravo. Ma devi sapere una cosa: come te ce ne sono milioni, tutti al tuo livello, tutti che considerano la scrittura una ragione di vita, tutti meritevoli. Attorno a voi si è formato un esercito di sciacalli travestiti da promotori culturali. Da tempo il business non è più sul libro che si vende, ma su quello che ancora non c'è. E vai con i valutatori, gli editor, gli organizzatori di premi, i creatori di siti per scrittori, gli stampatori, i rilegatori, gli insegnanti di scrittura creativa, gli agenti.

Proporrai il tuo romanzo alle case editrici importanti. Lo rifiuteranno a priori, salvo che tu non sia già famoso per altri motivi, che non rappresenti un fenomeno paranormale, o che conosca qualcuno molto in alto. Ti rivolgerai agli editori a pagamento. Ti spenneranno per non stampare neanche una copia del libro, o per stamparne un centinaio che finiranno al macero.

Opterai per editori tanto onesti da non chiederti un versamento. La tua opera non verrà distribuita e le librerie si rifiuteranno di acquistarla. Dovrai comprarti le copie, il che equivarrà a sborsare un contributo, e dovrai sbatterti in qua e in là per venderle, come fossero pentole o asciugamani. Magari non sei il tipo per farlo, magari ti sembrerà di svilire il tuo lavoro e te lo vedrai morire fra le mani.

Ti orienterai sul self publishing, comodo per chi è timido e spiantato. Il tuo libro avrà un prezzo elevato a causa delle spese di spedizione. Non lo comprerà nemmeno tua zia. La gente spende volentieri 20 euro per una maglietta che mette sì e no due volte, ma non per un romanzo costato anni di sudore. Nel frattempo, però, il tuo libro sarà considerato edito, persino senza codice ISBN, e gli editori importanti, che hanno solo da guadagnare boicottando l'autopubblicazione, si rifiuteranno di esaminarlo. (Se, però, miracolosamente, dovesse diventare famoso, non si farebbero certo scrupoli a cooptarlo). Sempre per lo stesso motivo, non potrai più partecipare a premi letterari per inediti. E forse neppure per editi. Insomma il tuo testo non sarà più né inedito, né edito, né carne, né pesce.

Ah, e ricordati che, se per caso hai più di quaranta anni, la maggior parte dei premi importanti ti è preclusa. Magari non li avresti vinti lo stesso, ma che almeno ti lasciassero tentare.

Ripiegherai sugli amici, rilegando amorosamente manoscritti da donare a Natale. Dopo mesi di silenzio, ti arrischierai a chiederne notizia. Diranno che hanno avuto troppo da fare per leggere la tua roba. Dopo, né tu né loro farete mai più cenno alla cosa.

Questo, caro aspirante scrittore, è il futuro del tuo romanzo, resterà un'immagine di copertina che invecchierà con te, che verrà a noia a tutti e pure a te che l'hai scritto.

Tu, se ti va, scrivilo lo stesso. Tanto, in casa, la carta igienica fa sempre comodo. Poi fatti recensire molto, soprattutto da chi ne sa meno di te, tappati il naso se nella critica trovi errori di ortografia e svarioni culturali. Iscriviti a tutti i gruppi Facebook dove si parla anche solo lontanamente di libri. Ricordati di frequentarli ogni giorno, salutando sempre col doveroso rispetto l'amministratore/amministratrice, inserendo cuori, fiori, peluche, tazzine di caffè fumante al mattino e camomille serali, elargendo baci a profusione, informandoti sulla salute di cani e gatti di tutti i partecipanti. Se danno un party per l'ennesimo iscritto, sii il primo, alle cinque del mattino, a brindare con lo spumante virtuale e a far esplodere petardi on line. Stralcia dal tuo libro frasi a effetto, che le tue amiche possano scrivere sul loro diario segreto e condividere nelle loro bacheche.

Non dire mai quello che pensi davvero, clicca su mi piace fino ad avere il crampo da mouse, anche se ti viene da vomitare, lecca con dovizia e intensità i culi giusti, pubblicizza libri altrui che ti fanno schifo. Se qualche scrittrice di provincia racconta di "scapoli impertinenti", o di "afferrati delitti" tu afferma che sono licenze poetiche di un nuovo stile tardoromantico-analfabeta che si sta sviluppando, e all'ennesimo maschio infoiato che descrive orgasmi d'improbabili casalinghe in fregola, parla di aspetti dionisiaci e di gnosticismo, senza dimenticare, mi raccomando, un riferimento al matriarcato di Bachofen.

Mostrati sempre entusiasta di tutto ciò che dicono i blogger letterari di un certo peso, specialmente quelli che leggono Tolstoj tutte le sere prima di dormire, e, se affermano che Dante Alighieri era un emergente da stroncare sul nascere e che Leopardi scriveva roba spassosa, tu trova qualcosa a sostegno delle loro opinioni.

Fai passare il link del tuo libro dalle 400 alle 500 volte al giorno, con intervalli di 6 minuti esatti fra un passaggio e l'altro.

Tagga tutti, ma proprio tutti, anche l'amico salumiere, anche l'autostoppista conosciuto ad Agosto in Sardegna, anche il contatto di Los Angeles che a quest'ora dorme ma non si sa mai, magari soffre d'insonnia.

Se muore un oscuro poeta minore dell'Uzbekistan, condividi versi delle sue impenetrabili poesie, definendolo una "perdita incolmabile" per la cultura mondiale, mostrandoti personalmente affranto. Parla di lui come se fosse di famiglia, rimpiangi i bei vecchi tempi quando tu e lui vi prendevate un caffè sotto la porta di Brandeburgo parlando insieme di Majakovskij.

Fotografa il tuo libro in tutte le posizioni, graziosamente contornato di piante, languidamente adagiato fra cuscini, devotamente sotto la foto di padre Pio o, meglio ancora, del Papa. Se hai uno scaffale ben fornito di libri e magari pure la fortuna che il tuo cognome inizia con la M, immortalalo fra Manzoni e Moravia. È consigliabile anche infilarlo di nascosto nella vetrina della libreria più importante della tua città, scattargli una foto col cellulare accanto al best seller milionario del momento, poi ritirarlo prima che la commessa se ne avveda.

Se ti è possibile, muori. Fa sempre un certo effetto e attira simpatie e consensi.

Ti diranno: "Continua scrivere, sarebbe un peccato, hai lì il tuo sfogo, la tua arte, la tua creatività."

Sì, certo, ma per cosa, per chi? La risposta più banale è per te stesso. Ma non si scrive per se stessi, forse nemmeno il diario. Si scrive per incanalare le emozioni, arginarle e organizzarle in un tutto organico che diventa creatura, nuova vita, mondo secondario. Si scrive per rileggere dire: "Porca troia, che bello 'sto pezzo ma l'ho buttato giù in trance?", si scrive per dare origine a una storia e a dei personaggi che prima non c'erano e ora ci sono e ci saranno per sempre, personaggi che hanno spessore morale e densità fisica. Si scrive soprattutto riscrivendo, con fatica certosina, limando fino a raggiungere il rigo finale, quello cristallino, musicale e dato una volta per tutte, quello che, quando lo rileggi anche a distanza di anni, ti fa ancora vibrare.

Però, viene da chiedere, a che ti serve oggigiorno scrivere un romanzo? Chi lo leggerà, a parte tua madre, tua sorella, e i tuoi cari, gentili, compassionevoli amici di Facebook, per altro sempre meno perché con i nuovi diari, le impostazioni di privacy, le liste, ormai più contatti hai meno visibile sei?

Di là dalla pubblicazione, dalle vendite, dai premi letterari, dalle recensioni, dai litblog, dalle riviste cartacee e on line, dalle Pagine Facebook dedicate alla narrativa, dai siti specializzati, dai corsi di scrittura creativa, dagli editor e degli editing a pagamento e non, dai Saloni del Libro, dalle conferenze, dai meeting sui libri e su chi parla dei libri e su come parlare di chi parla dei libri, etc etc, che senso ha un nuovo romanzo in questa massa informe di scrittura, di testi belli, brutti, orrendi, così così?

Chiunque metta su carta un pensiero o una fantasia sessuale ora si sente autorizzato a pubblicare, a diffondere, vista la facilità del mezzo, chiunque pianti un rigo su un foglio bianco, lo corredi di punti esclamativi o di sospensione a indicare emozioni che non è capace di esprimere, si crede così poeta da partecipare al famoso premio del Caciocavallo di Vattelappesca. L'illusione di essere narratore, poeta, giornalista, critico, ti afferra solo perché sei in grado d'inserire un pezzo su Wordpress o su Blogger, così come, eoni fa, t'immaginavi Hemingway solo a possedere una macchina per scrivere.

Insomma, più che ti addentri in questo mondo, più la materia gonfia, si dilata, si disperde, diventa amorfa e autoreferenziale. Chi ti sta parlando ne è un esempio a tutti gli effetti ma, almeno, ne è un esempio consapevole e dubbioso.

Come emergere, dunque, come distinguerti addirittura dagli omonimi, dai cloni che proliferano? Come assicurare alle tue innocenti creature il diritto di vivere, di prendere forma negli occhi e nella mente di un lettore?

E ciò che tu, autore, hai scritto, che valore ha? È bello, è mediocre, è mainstream, è letteratura, è poesia, è una boiata, è spazzatura? Perché qualcuno dovrebbe leggere il tuo romanzo piuttosto che quello di un altro, piuttosto che quello di milioni di altri? Ed ha ancora un senso scrivere in questo magma senza più filtro, sapendo di essere una goccia nel mare, di lanciare un messaggio in bottiglia?

Ecco io, non ho una risposta. E tu?

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