L'Altro
30 Agosto 2015 , Scritto da Lorenzo Campanella Con tag #lorenzo campanella
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Quante volte si dovrà accarezzare l’inopportuna sacralità di gesti accorti e poco noti. Dalle viuzze inorridite di paesi perplessi, radicati nell’altrui sventura. Focolai di persone, in processione verso il magma della vita, che potrebbe trovarsi in una stretta di mano, rapida e tagliente. Dal bosco i pensieri trovano conclusione in un’ampolla di sabbia. In fondo è questa l’Italia, quella in cui la corruzione invade anche le private case, si gioca con la vita e con la morte degli altri. L’altro è valenza se il percorso è completato, se la linea viene tracciata in tempo, se il tempo non diventa debito. E se il debito non diventa questione di vita. L’alterità spunta come un fungo se fruiamo del nostro Io, se accediamo ad una dimensione umana dell’esistere. Non basta capovolgere, bisogna rivolgere. Perlomeno volgere (lo sguardo, le attenzioni). Domani è l’altro e mai oggi. Domani il gesto, la nota musicale, la bicicletta dietro la vetrina. L’altro è anche invasione, inversione, complessità. Ma all’estremo della complessità c’è il mare limpido della semplicità. Gli estremi combaciano. L’altro è in noi. L’altro urla, ci urla, si può intravedere nei silenzi o in mezzo al caos delle metropoli. L’altro in noi è sentenza, è vincolo che garantisce libertà. Noi siamo diversi per ritornare uguali. Chissà se capiremo che la libertà non ha realtà se non quella soggettiva, personale. Nella realtà dell’altro si completa la nostra. Sei marinaio e corsaro. Sei giudice e imputato. L’altro non è immutabile, come noi. Ma nella tangenziale di percorsi affollati è improbabile trovare una serenità durevole.
L’indifferenza che ti uccide, quella che ti colpisce alle spalle, quel veleno quotidiano, quella che nega la libertà è quella che ti fa morire dentro. La morte interiore. Una rinascita viene rincorsa quando i totem del passato vengono abbattuti, quando il simbolo trova una sua consapevolezza. Accedere ad una dimensione umana dell’esistere significa non praticare indifferenza, carro d’esclusione, d’isolamento. Perché quando ti lasciano solo inizi a piangere. Perché chi ti lascia solo non ti vuole bene ed è uno dei messaggi più semplici da capire. Si possono spendere migliaia di parole, ma chi pratica esclusione non è una persona solidale. Una solidarietà umana si realizza nell’aiuto, non nel profitto. Ho commesso un sacco d’errori, ma le persone non devono essere lasciate sole. Una società che esclude, che emargina non è positiva. Il messaggio l’ho lanciato, vediamo chi comprende.
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