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Edipo nella tomba di Biagio Osvaldo Severini

10 Marzo 2013 , Scritto da Adriana Pedicini Con tag #adriana pedicini, #saggi, #biagio osvaldo severini

Ospitiamo un secondo intervento del prof. B.O.Severini. Stimato docente di Storia, Filosofia e Pedagogia, per lunghi decenni nei licei di Benevento, è un appassionato e studioso di Storia e di problemi connessi con la formazione individuale e collettiva, familiare e sociale. Si è interessato a lungo anche di politica. Attualmente è impegnato nella rivisitazione di tematiche sociali. L'ultimo articolo "Edipo nella tomba" prelude a un percorso di approfondimento in collaborazione con la prof. Adriana Pedicini, per quanto riguarda l'aspetto mitologico della figura di Edipo, e del dott. Marcello Di Pinto, psicanalista, per quanto riguarda il complesso psicanalitico, mentre lo stesso Prof. Severini illustrerà la "morte" di Edipo.

 

 

 

                                              EDIPO NELLA TOMBA

Il problema del funzionamento della libido, della sessualità,  della psicanalisi, della psichiatria, dei manicomi,dell’università, della società. Il principio di piacere contro il principio di realtà.  La Liberazione contro la Legge. Il pericolo di un  fascismo nuovo tipo.

                                         Biagio Osvaldo Severini

Ma guarda che sorpresa! Ritornano “una tomba per edipo”( “Psychanalyse e Trasnsversalitè – Essais d’analyse institutionnelle” ), e “Anti-Oedipe” ( “Capitalismo et Schizophrénie”) opere pubblicate nel 1972 in Francia (in Italia nel 1974) da Félix Guattari (psicanalista, allievo di Lacan e direttore del manicomio “aperto” di La Borde, morto nel 1992) e Gilles Deleuze (docente di filosofia a Vincennes e sociologo). Sono passati ben quaranta anni! Perché questo ritorno?

Allora, le opere furono rivoluzionarie per la psicanalisi e per la politica.

La psicanalisi classica fu investita da numerosi rilievi critici, con cui dovette fare i conti.

La politica fu sconvolta da quelle idee nuove, alla cui luce si mosse la generazione del ’77.

Oggi, alcune tesi ci sembrano ancora attuali.

Abbiamo realizzato una intervista “in-diretta” con i due autori, per verificare, insieme con i lettori, questa nostra ipotesi interpretativa.

Qual è il punto di partenza dei vostri lavori?

Deleuze. L’idea fondamentale è forse questa: l’inconscio “produce”. Dire che produce significa che bisogna smettere di trattarlo, come si è fatto finora, come una specie di teatro in cui verrebbe rappresentato un dramma privilegiato, il dramma di Edipo. Noi pensiamo che l’inconscio non sia un teatro, pensiamo piuttosto che sia un’officina… Dire che l’inconscio “produce” significa che è una specie di meccanismo che produce altri meccanismi. Vale a dire che secondo noi l’inconscio non ha niente a che fare con una rappresentazione teatrale, ma con qualcosa che potremmo definire “macchine desideranti”…. Quando noi parliamo di macchine desideranti, dell’inconscio come un meccanismo di desiderio, intendiamo dire un’altra cosa.

Che cosa intendete dire, quando parlate di desiderio?

Deleuze. Il desiderio si può comprendere soltanto a partire dalla categoria di “produzione”. Il desiderio non dipende da una mancanza, desiderare non è mancare di qualcosa, il desiderio non rinvia ad alcuna legge, il desiderio produce. Dunque, è il contrario di un teatro.

E la teoria  di Edipo che significato assume nella vostra riflessione?

Deleuze. Un’idea come quella di Edipo, della rappresentazione teatrale di Edipo, sfigura l’inconscio, non esprime nulla del desiderio. Edipo è l’effetto della repressione sociale sulla produzione desiderante. Anche a livello del bambino il desiderio non è edipico, funziona come un meccanismo, produce delle piccole macchine, stabilisce collegamenti tra le cose (es.: la produzione del latte dal seno e la bocca che interrompe tale flusso).

Possiamo affermare che nella vostra concezione il desiderio è rivoluzionario?

Il desiderio è rivoluzionario per natura, perché costruisce delle macchine capaci, inserendosi nel campo sociale, di far saltare qualcosa, di smuovere il tessuto sociale. Al contrario, la psicoanalisi tradizionale ha rovesciato tutto su una specie di teatro.. Esattamente come se si traducesse in una rappresentazione alla “Comédie francaise” qualcosa che appartiene all’uomo, all’officina, alla produzione.

E la interpretazione dei sogni e dei significati dei simboli onirici?

Deleuze. Il sistema dell’inconscio, contrariamente a quello che pensa la psicanalisi tradizionale, non significa niente. Non c’è senso, non c’è alcuna interpretazione da dare, non vuol dire niente. Il problema è di sapere come funziona l’inconscio. E’ un problema di uso delle macchine, del funzionamento delle “macchine desideranti”.

Ma che cosa sono queste “macchine desideranti”?

Deleuze. Nell’organismo ci sono diverse “macchine desideranti”: una macchina per mangiare, una macchina per respirare, una per parlare, una per defecare, una per fare l’amore, una macchina per vedere, per sentire, e così via; ognuna dà inizio ad un flusso. Questi flussi si accoppiano, si connettono, si tagliano in maniera trasversale.

Come nell’esempio del flusso del latte della mammella che viene interrotto dalla bocca del bambino che succhia?

Deleuze. Esattamente.

Ma che cosa non va nella psicoanalisi classica di Freud?

Deleuze. Partendo dallo studio delle psicosi, la nostra impressione è che la psicanalisi girava su stessa in un cerchio per così dire familiarista rappresentato da Edipo… Per quanto la psicanalisi abbia cambiato i metodi, essa finisce pur sempre per ritrovarsi sulla linea della psichiatria più classica, che ha legato fondamentalmente la follia alla famiglia… Perfino l’anti-psichiatria conserva questo riferimento follia-famiglia.

Mentre per voi?

Deleuze. Noi annotiamo che  non abbiamo mai visto un delirio schizofrenico che non sia prima di tutto razziale, razzista, politico, che non parta in tutti i sensi nella storia, che non investa le culture, che non parli di continenti, di regni, ecc. Noi diciamo che il problema del delirio non è familiare, non concerne il padre e la madre che molto secondariamente… Non ci sono deliri che non investano la storia prima di investire una specie di mamma-papà ridicoli.

Voi affermate che le persone che operano nel campo delle scienze umane e nel campo politico dovrebbero “schizofrenizzarsi”, dovrebbero mettere in discussione la cultura tradizionale.

In che senso?

Guattari. Di fronte ai problemi della società odierna bisogna porsi in una situazione di rimessa in causa della cultura tradizionale divisa, diciamo, tra le scienze umane, la scienza, lo scientismo e la responsabilità politica…Finora, ci si è accontentati di una specie di autonomismo delle diverse discipline. Gli psicanalisti hanno la loro batteria da cucina, i politici la loro, e via dicendo… Dopo il maggio ’68 è importante e necessaria una revisione di questa separazione… Se si resta all’idea che le cose sono separate, che ciascuno è uno specialista e deve portare avanti i suoi studi rimanendo nel suo angolo, si verificheranno delle esplosioni nel mondo che sfuggiranno completamente alla comprensione sia dei politici sia delle descrizioni antropologiche. Bisogna rimettere in causa la divisione dei campi e l’auto-soddisfazione degli specialisti isolati.

Quale potrebbe essere la scienza dell’uomo per eccellenza?

Deleuze. Il fatto è che troppe scienze vorrebbero avere questo ruolo.. Il problema non è di sapere quale sarà la scienza dell’uomo per eccellenza. Il problema è di sapere in che modo si raggrupperanno un certo numero di “macchine” dotate di una possibilità rivoluzionaria.. Per esempio, la macchina letteraria, la macchina psicanalitica, le macchine politiche. O troveranno un punto di congiungimento, come hanno già fatto fino ad ora in un certo sistema di adattamento ai regimi capitalistici, o troveranno una unità dirompente in un uso rivoluzionario. Non bisogna, dunque, porre il problema in termini di primato, ma in termini di uso, di utilizzazione.

Perché mettete in rapporto il capitalismo con la schizofrenia?

Guattari. Per sottolineare gli estremi… Il capitale e poi, all’altro estremo, o meglio, a un altro polo di non senso, la follia e nella follia precisamente la schizofrenia. Ci è sembrato che questi due poli nella loro comune tangente di non senso abbiano un rapporto. Non soltanto un rapporto contingente per cui si può affermare che la società moderna rende la gente pazza. Ma assai più di questo: per rendere conto dell’alienazione, della repressione subita dall’individuo preso nel sistema capitalista, e per intendere il vero significato della politica di appropriazione del plus-valore, dobbiamo mettere in gioco dei concetti che sono gli stessi cui si deve ricorrere per interpretare la schizofrenia.

Ma perché la psicanalisi tradizionale non è utile a capire la schizofrenia?

Guattari. Il movimento psicanalitico si è organizzato sulla base di una rottura completa tra le formazioni sociali e le formazioni inconsce, ha operato una separazione radicale tra ciò che avviene nella lotta politica e sociale e ciò che avviene nella “vita privata”, nella coppia, nel bambino, ecc… Gli psicanalisti hanno considerato che il sociale non è il loro problema e i politici che l’economia del desiderio non era il loro. Finalmente sono diventati complici gli uni degli altri.

 

 

Voi accusate anche il movimento operaio?

Guattari. Certo! I tenutari del movimento operaio sono d’accordo ora di occuparsi della famiglia e del desiderio, nella misura in cui non si tratta che di oggetti istituzionali sterilizzati: la qualità della vita e altre fesserie. Ma quando di tratta di occuparsi di altri oggetti portatori di dinamite – l’omosessualità, la delinquenza, l’aborto – ci si affida ai poliziotti. Va bene occuparsi dei problemi della coppia, della donna, degli alloggi, degli inquilini, ma non proprio dei problemi libido-rivoluzionari. Da parte loro gli psicanalisti vogliono occuparsi delle formazioni sociali ma alla condizione dichiarata che non si metteranno assolutamente in causa lo statuto della famiglia, della scuola, ecc.

Che cosa bisogna fare, dunque?

Guattari. Non si tratta di fare una lotta particolare nelle fabbriche con gli operai, un’altra negli ospedali con i malati, un’altra nelle università con gli studenti, ecc…Bisogna mettere in discussione questa concezione. La questione non è di sapere come, attualmente, si potrebbe modificare della psichiatria, della psicanalisi, l’atteggiamento dei gruppi di malati, o dei professori e degli studenti, ma più fondamentalmente come funziona la società per la quale si arriva ad una situazione come questa. E’ esattamente come per il nazismo: la questione non è di sapere come si sarebbero potuti migliorare i campi di concentramento, ma cosa aveva portato alla loro esistenza.

Ma, distruggendo l’Edipo, il Super-io, il triangolo edipico, non rischiate di non capire la formazione delle nevrosi, delle psicosi, della schizofrenia, della teoria e della pratica di Freud?

Guattari. Bisogna dire che Freud non ha capito molto della schizofrenia… Egli era fondamentalmente ostile alla psicosi. La psicosi e la rivoluzione sono stati due oggetti tabù. La normalità era identificata alla accettazione di vivere in famiglia. Il freudismo si è costruito fin dalle origini sulla visione dell’uomo in famiglia. Freud disprezzava il delirio e anche le donne. La sua rappresentazione della sessualità e della società è completamente fallocentrica, come direbbero le femministe.

Eppure, la psicanalisi funziona bene nell’attuale società!

Guattari. Certo che funziona bene, ed è ciò che la rende così pericolosa. E’ per eccellenza la droga capitalistica… Per il capitalismo ha la funzione di religione di ricambio. La sua funzione è di adattare la repressione, di personalizzarla, come si dice delle auto. Il peccato e la confessione non funzionano più come una volta… non basta più denunciare la psicanalisi, bisogna sostituirla.

Il complesso di Edipo è lo stesso in tutte le situazioni e in ogni tipo di struttura sociale?

Guattari. Per gli psicanalisti tradizionali è sempre lo stesso padre e sempre la stessa madre, sempre lo stesso triangolo… Ma non esiste una struttura universale nello spirito umano!

Voi opponete alla psicanalisi tradizionale la schizo-analisi. Che cosa è questa schizo-analisi?

Guattari. La schizo-analisi si congiunge alla lotta rivoluzionaria in quanto si sforza di liberare i flussi, di far saltare i catenacci, le assiomatiche del capitalismo, le sovra codificazioni del Super-io, ecc…

Avete fiducia in un riformismo graduale della psicanalisi o in che altro?

Sono tanto contro l’illusione di una trasformazione a poco a poco della società, quanto credo che i tentativi microscopici di comunità, di gruppo analitico tra militanti, organizzazione di un nido in una facoltà, ecc… siano fondamentalmente necessari. E’ facendo dei piccoli tentativi come questo che un bel giorno si scatenerà un’esperienza come quella del maggio ’68!

Poi, però, nel 1972 confessate di aver provato un certo smarrimento davanti alla svolta che avevano preso gli avvenimenti del maggio ’68. Perché?

Guattari. Noi facciamo parte di una generazione la cui coscienza politica è nata nell’entusiasmo e dall’ingenuità della Liberazione, con la sua mitologia che scongiurava il fascismo. E le questioni lasciate in sospeso da quell’altra rivoluzione abortita che fu il maggio ’68 si sono sviluppate per noi secondo un contrappunto che diventa tanto più angoscioso in quanto noi ci preoccupiamo, come molti altri, del futuro che ci si prepara e che potrebbe cantare gli inni di un fascismo nuovo tipo da far rimpiangere quello del tempo antico.

 

La psicanalisi ha, in certo qual modo, tentato di spiegare il fascismo. Che ne pensate?

Deleuze. La psicanalisi, è vero, ha sfiorato per un attimo questo campo, ma le sue spiegazioni del fascismo sono ridicole, in quanto fa derivare tutto dalle immagini del padre e della madre, o dai significati familiaristi e pii come il nome del Padre. E’ certo che la psicanalisi tranquillizza, consola, ci insegna le rassegnazioni, con cui noi possiamo vivere. Ma noi diciamo che ha usurpato la sua reputazione di promuovere o anche di partecipare ad una effettiva liberazione. Essa ha schiacciato ogni dimensione politica ed economica della libido in un codice conformista… Ciò che noi tentiamo è mettere la libido in relazione con un “fuori”… noi proponiamo una concezione positiva del desiderio come desiderio che produce, non desiderio che manca.

   

Nell’opera “Millepiani” (pubblicata dieci anni dopo l’”Anti-Edipo”) i due autori ritornano sull’opposizione tra Desiderio e Legge con una precisazione che avrebbe dovuto essere presa più sul serio, sottolinea Massimo Recalcati nella sua riflessione sull’argomento ( “ la Repubblica”, novembre 2012). Il quale fa notare che gli stessi Deleuze e Guattari mettono in guardia contro il pericolo insidioso che permea la stessa teoria del desiderio come flusso infinito, come “linea di fuga”che oltrepassa costantemente il limite. Il pericolo è questo: la “linea di fuga” potrebbe convertirsi in “distruzione, abolizione pura e semplice, passione d’abolizione”. Attenzione, quindi, che questa “linea di fuga”, che rigetta il limite, non si trasformi in “linea di Morte”!

Si può riflettere su questi argomenti? O si deve rigettare in blocco il tutto come un corpo estraneo alla cultura?

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